AL PANTHEON

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ITALIA REALE

Nel centoquarantesimo anniversario della proclamazione del Regno d'Italia

Riportiamo l'intervento del Conte Enzo Capasso Torre delle Pastene al Pantheon, il 14 marzo 2001.

L'onore che mi si fa – alla presenza di Sua Altezza Reale il Duca d'Aosta nel consentirmi di rivolgere, a chi non dimentica, queste mie poche parole, è tutto nella fiducia degli Organizzatori e nella immeritata stima degli Amici. Il 18 febbraio 1861 si apriva a Torino il primo Parlamento italiano; il 14 marzo, ricorrenza natale del Re ed esattamente centoquarant'anni fa, la nuova Camera approvava la proclamazione a Re d'Italia di Vittorio Emanuele II. La relativa legge sarà promulgata, il successivo giorno 17.

Centoquarant'anni or sono, dunque, l'Italia diveniva Nazione. Un sogno antico negli aneliti di grandi spiriti del passato, ripreso da anime forti e generose, si realizzava rapidamente, facilmente, inaspettatamente quasi, con il concorso di tanti fattori, da apparire predestinato.

Solo pochi anni, infatti, erano trascorsi da quando Carlo Alberto, cui va il primo merito della grande avventura, si volgeva al di l… del Ticino per dar vita ad una indomita speranza. Un'unità, tuttavia, difficile nei fatti - lo abbiamo sperimentato a lungo e lo sperimentiamo ancora –ma raggiunta ed indubbiamente collaudata, pur travari permanenti squilibri.

L'unificazione politica della Penisola, attraverso ben congegnate manovre militari, appoggi internazionali e semplice fortuna, può perfino non apparire l'impresa più difficile; resta invece, malgrado gli scompensi, un capolavoro il mantenimento della stessa, considerate le tante volte secolari differenze e lontananze delle genti italiane, di reggimenti politici, di vita, nel quadro, rivelatosi però prevalente, di una comune civiltà che tutti insieme ci vide primeggiare nell'antichità classica, rispondere nell'alto medioevo ad un progetto, si direbbe oggi di globalità, dello svevo Federico II; un programma, infine, sempre più felicemente configurato, per la cui realizzazione non avevano smesso di sperare e di operare le anime più alte, fino ai nostri tempi. I conflitti non mancarono; non mancarono le difficoltà. Ne ho diffusamente parlato nella celebrazione affidatami per il centenario della morte di Umberto I.

Non sono mancate, ancora, prove durissime, durante e dopo l'ultima guerra. E' vero tutto questo, come è più vero – lo abbiamo detto - che il gran bene dell'unità politica dell'Italia, malgrado insidie estemporanee, non solo non si è perduto, ma è incardinato oggi in una più vasta intesa di popoli, resa possibile, nell'esperienza del passato, da nuove vedute per più sicuri e civili traguardi. Si mortificarono - certo - altre e, non di rado, alte Tradizioni che soffrirono del disegno unitario. Ad esse, ancora una volta, va riconosciuto l'onore con il quale spesso scomparvero e non va dimenticato il sacrificio di quanti per esse si batterono con fedeltà ed impegno, specialmente se senza speranza.

La memoria storica di queste Tradizioni e di questi uomini permane nobilmente intatta ed è anch'essa storia d'Italia. Finalmente risolto – ancora in epoca monarchica – il problema politico con la Chiesa - problema delicatissimo, giustamente sentito dalla millenaria coscienza cristiana degli Italiani, non meno che dalla fede religiosa dei Savoia, sempre nei secoli strettamente professata - si era già posto mano a questioni di natura economica, a squilibri, direi, socio-geografici, al carente ordine pubblico cui si accompagnavano bassa pubblica moralità, corruzione, deficiente istruzione che finiva per alimentare il reato. Molto si raggiunse, anche se purtroppo, in questi nostri anni, troppo di ciò sembra riemergere ed inquietare. Ma l'Italia c'è.

La commemorazione di stamani non è monarchica :è patriottica, è italiana. L'avventura del gran Re Vittorio Emanuele II non è fallita. Senza di lui, senza i Savoia, non c'è storia dell'Italia moderna. Non è rivendicazione, perché nessuno lo potrebbe negare.

L'unità, la prima unità che oggi celebriamo, una unità ancora senza Venezia, senza Roma, senza Trieste e Trento, è un dono- un primo dono - che i Savoia, con il concorso di pensatori, di statisti, di soldati, hanno presentato all'Italia, anzi agli Italiani. Noi - quale grazia di Dio - lo abbiamo portato oggi all'altare in questo immane tempio della Roma antica, consacrato dalla Roma dei Papi, mausoleo della nuova Italia che custodisce ed attende le tombe dei Re, per il sacrificio ed il merito di coloro che, con purezza di cuore desiderarono ed ottennero che gli Italiani fossero un popolo solo. Seguiamo ora il Duca d'Aosta, che degnamente rappresenta la Famiglia che conseguì l'unità, mentre depone, a nome di tutti, la corona sulla tomba del Fondatore dell'Italia Nazione.

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