BUONANOTTE LIRA, BUONGIORNO EURO

autore: 
Roberto Vittucci Righini

Sin dall’origine dell’umanità sorse la necessità di scambiare prodotti da cui la nascita del commercio e conseguentemente l’uso dei prodotti stessi quale moneta che poteva avere “senso ornamentale” (denti, conchiglie, pietre), “uso di vestiario” (pelli, stoffe, paglie intrecciate), “uso alimentare” (sale, acqua, verdure, radici) o “utilità in genere” (frecce, asce, recipienti, forconi).

Nelle società più progredite venne poi adottato lo scambio con metalli a peso, ai quali si attribuì anche un valore simbolico, e così nacque la moneta, il cui uso andò diffondendosi rapidamente a partire dal secolo VII a.C. nel mondo ellenico e presu mibilmente anche presso i Re della Lidia e le principali città dell’Egeo.

L’uso della moneta verrà adottato da Roma un poco più tardi e dalla Città eterna si diffonderà ai Paesi dell’Occidente e del Nord Europa che erano rimasti estranei all’influenza ellenica. I principali metalli utilizzati furono sin dall’antichità oro, argento e bronzo, con una preponderanza dell’argento in quanto metallo più reperibile dell’oro e meno ingombrante del bronzo. L’oro venne in pratica utilizzato solo dalle grandi Monarchie, a cominciare da quelle di Lidia e Persia, poi dalle Dinastie macedoni, tolemaiche e seleucidiche, e infine dall’Impero romano e bizantino.

Accanto ai tre citati metalli, vennero nell’antichità coniate anche monete di “elettro” (lega di oro e argento) utilizzate in Asia Minore e in epoca più tarda da Cartagine, monete di “biglione” (lega di argento, stagno e piombo), di “rame argentato” e di “stagno”, queste ultime di valore minimo. In particolare in Grecia le monete furono sempre di ottima qualità: metallo puro, peso esatto e valore reale corrispondente a quello nominale.

MONETE SUBERATE

Con le monete nacquero anche i falsari, autori delle “monete suberate”, composte di un interno di metallo vile, ricoperto ingannevolmente d’oro o d’argento. Alle “monete suberate” ricorsero poi anche governi in difficoltà e si ricorda Policrate di Samo che pagò una grossa somma agli Spartani con piombo ricoperto d’oro, Perdicca III di Macedonia che ricompensò in analogo modo l’esercito che combattè contro i Calcidesi, e Atene al volgere della guerra del Peloponneso. Lo stesso avvenne nel periodo repubblicano a Roma dove con legge di M. Livio Druso del 91 a.C., venne stabilito che ogni emissione di monete d’argento dovesse essere costituita per un ottavo di “monete suberate”, il che creò tanti e tali guai da indurre nell’84 il pretore M. Gratidiano a far istituire uffici per verificare le monete d’argento in circolazione e ritirare quelle “suberate”, con soddisfazione del popolo ma l’ira del Partito sillano che con la legge Cornelia testamentaria, impose nuovamente il corso forzoso della serie contestata.

Anche durante l’Impero Roma continuò ad emettere “monete suberate”, sino a quando con la riforma di Caracalla si stabilì di alterare ufficialmente il rapporto tra valore reale e nominale delle monete. In pratica, quanto è successo ai giorni nostri con emissioni a ruota libera delle lire cartacee, senza rapporto con le riserve auree del Paese.

MONETE “UNIVERSALI”

Per “monete universali” intendiamo quelle che, sia pur per determinati periodi, hanno avuto valore al di fuori dell’ambito territoriale della loro coniazione e che sono state riconosciute come proprie anche da altri Popoli. La prima moneta alla quale può venir attribuito tale valore è stata quella greca, oggetto di pagamento e scambio nell’esteso ambito dei Popoli che subirono l’egemonia o quanto meno l’influenza ellenica.

Vasta applicazione ebbe poi il sistema monetario dell’Impero romano che era a base aurea, con unità il soldo d’oro (solidus), tagliato in 72 pezzi per libbra, con le frazioni della metà (semissis) e del terzo (tremissis), nel mentre le monete d’argento e di bronzo venivano utilizzate solo per le piccole transazioni ed i pagamenti spiccioli: la moneta imperiale aveva valore non solo nel vasto territorio soggetto a Roma, ma era conosciuta ed accettata anche dai barbari confinanti. Carlomagno (768-814) conservò inizialmente i sistemi monetari dei Paesi che occupava, finchè decise di unificare il sistema monetario che divenne monometallico e così di solo argento; da una libbra d’argento si tagliavano 240 “denari” di cui 12 formavano un “soldo” e 20 soldi una “libbra” o “lira”. L’adozione ufficiale del sistema argenteo non escluse però la circolazione dell’oro che rimase nell’Impero d’Oriente e nei Regni degli arabi. Il diritto di battere moneta venne riservato al solo Sovrano, con eccezione del Papato che batteva denaro con i nomi dei Papi insieme a quelli di Carlo e dei suoi successori. Secoli dopo Napoleone I fece adottare al suo vasto impero la moneta decimale che rimase in vigore sino al 1815 allorchè gli Stati insorti vollero tornare ai precedenti diversi sistemi, ma nel 1865 Italia, Francia, Belgio e Germania si accordarono per dare alle rispettive monete, che rimanevano indipendenti, il medesimo peso metallico che permettesse lo scambio in parità, e crearono l’“Unione monetaria latina”. Le monete erano d’oro o d’argento ma il maggior prezzo successivamente raggiunto dal primo dei due metalli, rispetto al secondo del quale era notevolmente aumentata l’estrazione, modificò la proporzione iniziale di un grammo d’oro per 15,5 grammi d’argento, che non potè più rimanere fissa e portò alla crisi ed al fallimento dell’“Unione monetaria latina”. Si stavano intanto diffondendo le monete di carta (banconote), nel mentre per i piccoli valori venivano coniate monete di metallo vile.

Per far accettare agli utenti le banconote, la Banca di emissione dovette scrivervi “Pagabili a vista al portatore”, intendendosi così che chi lo chiedeva poteva ottenere agli sportelli bancari l’equivalente in metallo prezioso. Tale scritta, rimasta sulle banconote delle “lire” ancora ai giorni nostri, è decisamente umoristica posto che l’unico sistema per “pagare a vista” una moneta di carta è ora quello di cambiarla con un numero maggiore o minore di altre monete di carta, con l’eventuale aggiunta di monetine di vil metallo. L’ultima moneta convertibile in oro è stata sino al 1971 il “dollaro” degli Stati Uniti.

LE MONETE IN ITALIA

Le prime monete in Italia furono i “soldi” e “tremissi” d’oro, “silique” d’argento, “follari” e frazioni di bronzo dei Goti, dei Bizantini e dei Longobardi, che segnano il primo periodo storico, definibile barbarico, della moneta, che persiste più a lungo nel nostro Meridione dove anche i Longobardi fanno proprie le forme bizantine che predominano nei ducati greci e si ripetono anche sotto i Normanni. Con la riforma Carolingia vengono coniati “denari” e “oboli” imperiali, e successivamente i “grossi” di misure diverse a seconda che valessero uno o più “soldi”. Le monete da mezzo denaro, vengono diffuse col nome di “oboli”, “medaglie”, mentre quelle da 12 denari prendono il nome di “denaro grosso”. Il primo “grosso” o “matapane” d’argento viene introdotto da Venezia tra il 1194 ed il 1200, col valore di 26 “piccoli veneziani”, ossia di 13 “piccoli imperiali.” Genova a cavallo tra il XII ed il XIII secolo conia la mezza “quartarola” del valore di un soldo, alla quale segue il “genovino”, contemporaneo del “fiorino” di Firenze creato nel 1252, equivalente della lira d’argento.

A queste prime monete seguono numerose altre. La “lira” diventa moneta effettiva verso la metà del secolo XV e prende il nome di “testone”, presentando su un verso la testa del Sovrano, al pari dei quarti di “ducato” che conseguentemente assumono lo stesso nome. La più prestigiosa serie della monetazione italiana, ininterrotta per secoli, è naturalmente quella di Casa Savoia.

LE MONETE DEI SAVOIA

Umberto detto Biancamano (980-1048), Conte di Maurienne e primo Conte di Savoia, aveva nei propri possedimenti la zecca di Aiguebelle, probabilmente trasferitavi dal Viennese. Non è provato che tale zecca coniasse monete (“denari”) col nome del Conte Umberto nè successivamente con quello di suo figlio e successore Amedeo I. Oddone, ultimo figlio di Umberto Biancamano e successore nel 1051 del fratello Amedeo I, aveva sposato Adelaide, Contessa di Torino. Avvenuta la chiusura della zecca di Aiguebelle, Amedeo I ne aprì una a St. Jean de Maurienne, successivamente trasferita a Susa. Della zecca di St. Jean de Maurienne si conservano due monete che però non recano il nome del Conte Oddone nè di Amedeo I. La prima moneta con il nome di un Conte di Savoia è pertanto il “denaro secusino” fatto coniare da Pietro I (1027-1078), Conte di Savoia e Margravio di Torino, improntato al nome Petrus Mr ed a quello della città sede della zecca “Seusieur” (presumibile contrazione di “Secusie Urbs” - Città di Susa), d’argento, del diametro di 18 millimetri e del peso di gr. 1,18. Da allora, sino a Re Vittorio Emanuele III e così per 9 secoli, è stata battuta moneta con i nomi ed i volti dei Capi di Casa Savoia, e anche con Stemmi, Croci o nodi Sabaudi.

I MINIASSEGNI MONARCHICI

Nonostante che le monete non fossero più coniate in oro o in argento, ad eccezione di talune emissioni particolari, a volte destinate alla speculazione (voluta od occasionale, mistero che avvolge la prima tiratura di monete d’argento da L. 500 avvenuta anni or sono, riproducenti una Caravella uscita con un particolare errato e subito ritirata per la gioia di chi se l’era accaparrata, a similitudine di quanto avvenuto per il noto francobollo denominato “Gronchi rosa”), la repubblica italiana intorno al 1975 è riuscita a far mancare anche le monetine di metallo vile, di valore infimo, ma necessarie per gli acquisti giornalieri. Si generò così, forse per la prima e unica volta nella storia monetaria internazionale, il fenomeno dei miniassegni, vale a dire emissioni da parte di Istituti bancari di assegni di dimensioni ridotte a copertura garantita, del valore facciale da L. 100 a L. 350, intestati a Società, associazioni o persone fisiche, e dagli stessi girati (anche a stampa) e immessi sul mercato.

L’Alleanza Monarchica fu l’unica Organizzazione politica a valersi, a chiaro fine di propaganda, dei miniassegni che chiese e fece emettere in 6 valori (lire 100, 150, 200, 250, 300 e 350) a proprio nome dalla Banca Sella, e distribuì sul mercato. Il fatto generò le ire dei trinariciuti, alias comunisti, che scottati dal non averci pensato loro, attaccarono i nostri miniassegni in articolo di “Fortebraccio” pubblicato in prima pagina de “l’Unità” del 2/12/1976; anche il quotidiano socialista “L’Avanti” ci dedicò attacchi, e la notizia venne ripresa da innumerevoli altri giornali che, non volutamente, diffusero così la conoscenza del nostro Movimento politico. La nostra iniziativa, e lo scriviamo per la soddisfazione di quelli tra i lettori che conservano i miniassegni monarchici, è finita sull’enciclopedia del “Collezionismo italiano” ove a pag. 539 (2° volume) è scritto “Storicamente i primi miniassegni sono stati quelli fatti stampare dalla Banca Sella, l’istituto di credito più noto e antico di Biella, in Piemonte, fondata nel 1886 da Gaudenzio Sella, parente alla lontana dello statista Quintino Sella.

I primi miniassegni, nei tagli da 150 e 300 lire, servivano, secondo quanto affermano gli esperti, agli esercenti cinematografici della cittadina, dato che il prezzo del biglietto d’ingresso ai cinema di Biella era nel 1974 di 700 lire ed era diventato impossibile dare il resto alla clientela per mancanza di moneta spicciola. Il pezzo più raro di questa produzione è un miniassegno intestato ad ‘Alleanza Monarchica’, una rivista mensile di politica, presto ritirato di circolazione per le polemiche suscitate da chi accusava l’istituto di essersi prestato a far pubblicità a una formazione politica”.

MONETE IN SOFFITTA

Le monete che scompaiono con il 2002, sostituite dall’“euro”, sono il “fiorino” olandese creato nel 1325, l’“escudo” portoghese in circolazione dal 1722, sostituito dal “reis” nel 1834 e reintrodotto nel 1910, il “franco” francese, diventato unità legale nel 1795 (che ha preso il nome dai pezzi d’oro coniati nel 1356 per la liberazione dagli inglesi di Giovanni II il Buono preso prigioniero a Poitiers: libero, affrancato, reso franco = franc), il “franco” belga risalente al 1832, il “marco” finlandese adottato nel 1860, il “franco” lussemburghese, classe 1867, la “peseta” spagnola del 1868, il “marco” tedesco (deutsche-mark) che nel 1948 ha sostituito il reichsmarch introdotto nel 1876 in luogo del tallero prussiano, la “sterlina” irlandese del 1922, lo “scellino” austriaco del 1923 e la “lira”, adottata in Italia come unità monetaria decimale (titolo 835, peso gr. 5) al tempo del dominio napoleonico, accantonata con il ritorno in vigore delle monete dei singoli Stati italiani durante la restaurazione e tornata con legge 24/8/1862 che unificò il sistema monetario nel neonato Regno d’Italia.

L’EURO

Con l’“euro” in Europa è stata posta fine alla circolazione di 13 miliardi di banconote (oltre 3 miliardi in Italia, con 53 pezzi per abitante, numero ingente che trova però giustificazione nel valore basso della lira rispetto alle altre monete), con 82 biglietti di valore diverso nei Paesi dell’Unione monetaria europea, sostituiti da biglietti di 7 tagli (5, 10, 20, 50, 100, 200, 200 e 500 “euro”). Le nuove monete sono invece 8, rispettivamente da 1, 2, 5, 10, 20 e 50 centesimi e da 1 a 2 “euro”.

La nostra “liretta” che dopo aver vinto l’Oscar delle monete solide nel 1964, è decaduta seguendo la crisi economica della repubblica, pertanto ci abbandona. Non più “lira” ma “euro”, per un avvenire che ci viene propagandato meno italiano e più europeo; la scomparsa della lira è però simbolo della perdita di parte delle radici della nostra Italia. La lira si affianca così al Tricolore con lo Stemma Sabaudo, il Tricolore dell’Italia unita creata da Re Vittorio Emanuele II, Re di Casa Savoia, Padre della Patria, nonno di Re Vittorio Emanuele III che ha donato alla nostra Patria la più completa, prestigiosa e di maggior valore raccolta di monete esistente al mondo.

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