NOVANT’ANNI FA: LA VITTORIA

autore: 
Giancarlo Vittucci Righini

Novant’anni fa il 4 novembre 1918, si concludeva vittoriosamente la Prima Guerra Mondiale, che segnava la sconfitta e la conseguente scomparsa degli Imperi Austro-Ungarico e Germanico.

Il pretesto per il conflitto fu rappresentato dall’assassinio avvenuto il 28 giugno 1914 a Saraievo, dell’Arciduca Francesco Ferdinando, Principe ereditario dell’Impero, ad opera di Gavrilo Princip, terrorista serbo.

L’Austria-Ungheria, che da tempo era preoccupata per la politica espansionistica condotta dal governo serbo, protetto da quello russo, ne approfittò per inviare un ultimatum contenente richieste talmente pesanti da risultare inaccettabili.

Com’è noto nel 1882 l’Italia, l’Austria-Ungheria e la Germania avevano stipulato un trattato denominato Triplice Alleanza, che aveva scopo puramente difensivo (art. 3) e prevedeva consultazioni tra gli alleati; in particolare Austria-Ungheria e Italia a norma dell’art. 7 si impegnavano a mantenere “per quanto è possibile, lo statu quo in Oriente” e nel caso che ciò divenisse impossibile per quanto si riferiva ai Balcani, alle coste e isole ottomane dell’Adriatico e dell’Egeo, si obbligavano a concordare preliminarmente “reciproci compensi”.

In spregio agli accordi, il Governo di Vienna, invece, senza alcuna precedente presa di contatto, si limitò a comunicare al nostro Governo il testo dell’ultimatum soltanto poche ore prima del suo invio.
Era chiaro che la sconfitta della Serbia avrebbe comportato grossi vantaggi per l’Austria-Ungheria; tuttavia questa in contrasto con l’art. 7, si guardò bene dall’assumere impegni di alcun
genere nei nostri confronti.
Ne consegue che l’Italia non aveva alcun dovere di intervenire in guerra a fianco degli Imperi centrali.
A quanto sin qui detto si aggiunga che il Governo austriaco aveva sempre tenuto nei nostri confronti un contegno sprezzante ed ostile.

Già nel febbraio 1911 l’Ambasciatore Merey a Conrad von Hotzendorf che gli chiedeva notizie sugli armamenti italiani, aveva risposto testualmente: “Governo, esercito, marina, parlamento, stampa e una gran parte della popolazione sono dominati dal più italiano dei sentimenti, la paura”.

Inoltre nelle terre irredente da sempre il Governo imperiale aveva favorito la penetrazione degli slavi, ostacolando e deprimendo ogni manifestazione di italianità.
Vi era anche una ripugnanza storica a scendere in guerra a fianco dell’Austria, e vi erano soprattutto Trento, Trieste, l’Istria che dovevano essere ricongiunte all’Italia.
Giolitti, capo della maggioranza parlamentare, sosteneva la necessità di rimanere neutrali e per questo esercitava pressioni sul Governo, presieduto dall’On. Di San Giuliano, che considerava uno dei suoi luogotenenti.
Alla maggioranza neutralista costituita dai giolittiani ai quali si erano aggiunti cattolici e socialisti, si contrapponeva una minoranza interventista costituita da nazionalisti, futuristi,
sindacalisti nazionali e socialrivoluzionari.

Ricordiamo i discorsi di Marinetti, Corridoni, Corradini, Mussolini e soprattutto D’Annunzio.
Dalle terre irredente erano intanto giunti in Italia molti giovani che anelavano di battersi contro l’Austria, tra i quali i due Stuparich, Battisti, Filzi, Chiesa, Sauro, Giuriati e Tamaro.

La guerra intanto era divampata con grande violenza.
Gli eserciti contrapposti si affrontavano in gigantesche battaglie campali, con enormi perdite di vite umane. I tedeschi invadevano il Belgio neutrale, per poter colpire alle spalle la Francia; sul fronte orientale Hinderburg e Ludendorff infliggevano gravissime sconfitte ai russi. Sul fronte serbo, dopo grossi successi iniziali culminati con la conquista di Belgrado, gli austriaci avevano dovuto arretrare.

Nel frattempo l’Intesa (costituita da Francia, Inghilterra e Russia) aveva esercitato pressioni sull’Italia, affinché entrasse in guerra al suo fianco offrendo tutti i territori abitati da Italiani.
L’Austria si limitava a promettere Trentino e Tirolo, una semplice autonomia per Trieste e migliori condizioni per gli Italiani dell’Istria e della Dalmazia.

Ma si trattava di false promesse com’è dimostrato dal comportamento dell’Imperatore
Francesco Giuseppe, il quale a guerra ormai iniziata aveva personalmente spinto fuori dalla porta del proprio studio l’Arcivescovo di Vienna Cardinale Piffl, che per incarico di Papa Benedetto XV gli aveva proposto la cessione del Trentino all’Italia.

Così dopo aver ottenuto le necessarie garanzie l’Italia il 24 maggio 1915 dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.
Era un momento poco propizio per le sorti dell’Intesa, con l’esercito russo in difficoltà, e l’apporto dell’Italia in quel momento fu provvidenziale.

Re Vittorio Emanuele III partì per il fronte il giorno successivo. Così pure i Principi Reali: il Duca d’Aosta, il Duca degli Abruzzi, il Duca delle Puglie e il Conte di Salemi.
La guerra contrariamente alle previsioni si presentava lunga e sanguinosa, anche a causa del “principio dell’offensiva” che presupponeva il ricorso a quei tremendi ed inutili attacchi frontali ai quali troppo volte tutti i belligeranti fecero ricorso.

Ormai, date le caratteristiche della nuove armi, la guerra di movimento avrebbe dovuto cedere il passo a quella di posizione, alle trincee ed alle fortificazioni campali.
Fu una guerra di logoramento, nella quale doveva prevalere chi disponeva di maggiori mezzi ed era soprattutto disposto ad affrontare maggiori sacrifici.
Si ebbero così le undici terribili battaglie dell’Isonzo, fino alla battaglia di Vittorio Veneto, che ci diede la sospirata vittoria.
Nell’ottobre-novembre del 1915 la nostra flotta mise in salvo i resti dell’esercito serbo, con i comandi e lo stesso Re Pietro,mentre numerose truppe austriache dal fronte serbo affluivano su quello italiano.

Intanto la durata della guerra si prolungava e la quasi totalità degli Italiani dava il proprio contributo.
Dai militari che affrontavano rischi e disagi di ogni genere, ai civili che concorrevano allo sforzo bellico nei limiti delle proprie possibilità: così le donne confezionavano indumenti di lana per i soldati e persino i bambini facevano palle di carta pressata che dovevano essere utilizzate nelle trincee per riscaldare le vivande.
Più volte l’Austria tentò di frantumare il nostro sforzo, dapprima nel maggio 1916 con la famosa “Strafexpedition”, alla quale parteciparono anche truppe germaniche, ma con effetti assai scarsi, e successivamente con ben maggiori risultati nell’ottobrenovembre 1917.

Ma ogni volta l’abnegazione e l’eroismo del Regio Esercito Italiano ebbero ragione delle maggiori ma meno determinate forze avversarie.
In particolare nell’ottobre 1917 a seguito di una grande offensiva austro-tedesca con intensissimi bombardamenti sul fronte dell’Isonzo, le difese italiane cedettero a mezzogiorno della stretta di Saga ed il nemico giunse a Caporetto.

Sul Carso invece l’offensiva venne nettamente respinta. Dovemmo sgomberare l’altipiano della Bainsizza, ritirarci dalla Carnia e passare infine sulla destra del Piave; ma qui nonostante titanici sforzi il nemico che si vedeva ormai ad un passo dalla vittoria, venne definitivamente
fermato.

A questo punto è doveroso sottolineare l’opera silenziosa e tenace di Vittorio Emanuele III, il “Re soldato”, fante tra i fanti, che instancabile percorreva il fronte al fine di rendersi esatto conto della situazione militare e di accertare quali fossero le reali condizioni di vita delle truppe ed il loro morale senza ricorrere ad intermediari.
“Il Re si assunse l’incarico quotidiano di accorrere personalmente ovunque lo credesse necessario” scrisse il Marchese Solaro del Borgo, che gli era stato compagno d’armi e ancora “nessuno con maggiore competenza potè suggerire rinunce e modifiche e deliberazioni di particolare importanza: e nessuno, in conseguenza avrebbe potuto, meglio di quel ch’Egli fece, servire in momenti eccezionalmente delicati gli interessi del Paese, con efficacia della quale la gran massa del Paese stesso ignora e non immagina la portata”.

Le visite del Re sollevavano il morale della truppa, per la quale Egli era diventato il simbolo vivente della Patria.
Ma dove veramente le doti del Sovrano emersero in tutta la loro pienezza fu l’8 novembre 1917 al Convegno di Peschiera, allorché seppe esporre la situazione militare con assoluta padronanza e con una altrettanto assoluta fiducia nelle possibilità di resistenza del nostro Esercito.
Potè così imporre agli Alleati il proprio punto di vista: la difesa della linea del Piave senza ulteriori arretramenti.
Da quel momento la direzione della guerra ritornò nelle mani del Re.
Tutta la Nazione si impegnò fino allo spasimo: il nemico che era convinto di trovarsi di fronte truppe indisciplinate e con il morale a terra, venne affrontato da reparti che combattevano
con eroismo ed entusiasmo.

Anche il fronte interno fece la sua parte.
Tutti gli Italiani senza distinzione, fatta eccezione per una piccola minoranza di disfattisti e di sovversivi, si strinsero attorno a Casa Savoia dimostrando con le parole, ma soprattutto con i fatti, la loro fede nella vittoria.
Il nemico fu fermato, sorsero le unità di arditi, la
flotta austriaca fu beffata a Buccari da Ciano,D’Annunzio e Rizzo, e dopo una serie di furiose battaglie il nemico venne ricacciato al di là del Basso Piave nel luglio ’18.

A ottobre l’Italia scatenò l’offensiva finale, poi chiamata “battaglia di Vittorio Veneto”, che portò all’annientamento dell’esercito austriaco ed alla successiva caduta dell’Impero.
L’Italia grazie alla guida illuminata di Re Vittorio
Emanuele III aveva vinto la guerra e conquistato gli ultimi territori ancora sotto la dominazione straniera.
Si compiva così l’Unità d’Italia, realizzata da Casa Savoia attraverso secoli di guerre e di conquiste, unità territoriale, ma soprattutto morale, poiché tutti gli Italiani, senza distinzione
di parte o di origine, si erano trovati concordi nell’affrontare i pericoli ed i disagi della guerra.
Nel contempo l’Impero Austro-Ungarico spariva, travolto dai nazionalismi balcanici, e sulla scena
mondiale appariva il mostro partorito dalla rivoluzione russa: il bolscevismo.

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